Il silenzio degli innocenti è fastidioso quanto il pianto di un neonato.

Oswin x Jalyne

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  1. Nobody Janson
     
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    * Nobody *
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    Il braccio rachitico, pieno di lividi sotto una pelle grigia e trasparente, era sbucato fuori dalle sbarre gelide e sporche quanto lui.
    Oswin lo aveva guardato con una luce disperata negli occhi, mentre veniva trascinata dai due secondini.
    Le sembrava di penetrare, di sprofondare in un incubo sempre peggiore, sempre più cupo. La speranza di potersi difendere era rimasta - debole, ma era rimasta - anche quando nel quartiere generale della squadra che l'aveva catturata l'avevano trasferita in quel nuovo palazzo.
    Libera dal cappuccio, aveva tirato un sospiro di sollievo quando si era ritrovata nel cortile di un palazzo qualsiasi, non ad Azkaban. Allora era stato facile credere di avere ancora speranza. Non le avevano dato ancora possibilità di difendersi e di spiegare che era una purosangue e conosceva una importante famiglia di maghi - non c'era alcuna ragione che sapessero che dai Zabini se n'era andata di propria volontà e non certo in modo pacifico - ma era anche vero che non c'era alcuna accusa nei suoi confronti.
    Avrebbe potuto cercare Clara quando tutto fosse finito...in fondo lei sapeva che la gemella non era morta, come Clara doveva sapere che non lo era lei. Le poche notti passate in mano della Squadra dei volontari dell'Ordine non erano servite a farsi ascoltare da loro, ma non erano state poi così terribili.
    Una mattina però - doveva essere mattina, ma poteva solo supporlo a causa della poca luce che lasciavano penetrare nella cella - aveva visto una figura avvicinarsi alle sbarre. Quando aveva riconosciuto Blaise, aveva capito che non era lì per aiutarla. Nemmeno per prenderla in casa e far valere il diritto dei Zabini a punirla, da ingrata qual'era. Poteva già prevedere cosa avrebbero fatto e...lo aveva quasi sperato.
    La speranza aveva iniziato a morire quel giorno, quando l'aveva guardata per un paio di minuti, in silenzio, un sorriso sprezzante e disgustato che la squadrava dall'alto in basso. Un esame che non aveva sentito nemmeno il bisogno di accompagnare con un saluto, una predica, un addio.
    Nessuno, per lui e per la madre lei era già nessuno. Li sentì parlare del suo futuro come se stessero decidendo il destino di un ratto. Peggio, di una cosa inanimata, qualcosa che avrebbe potuto trasmettere loro le peggiori malattie se solo l'avessero guardata per un altro istante.
    Era stato quello l'inizio della fine.
    Era stato nel sentire l'indifferenza del primo uomo che l'aveva interrogata senza in realtà ascoltarla...una volta dopo l'altra, quando l'avevano trasferita su quel battello dopo una breve e dolorosa smaterializzazione. Era sbiancata nel sentire l'acqua sotto i piedi, il legno del battello scricchiolare nell'ululato del vento notturno, quando aveva compreso dove la stessero portando.
    Per non scoppiare a piangere, aveva preferito iniziare a imprecare e lo aveva fatto come un'ossessa, portando le guardie a decidere di imbavagliarla e in un secondo momento a sedarla. Non aveva reso loro le cose facili, quando avevano deciso di farle assumere una droga. Avevano dovuto schiantarla.
    Quando aveva capito che non l'avrebbero più lasciata parlare per sé, che non l'avrebbero più ascoltata, divenne la furia che si aspettavano di vedere in lei sin dall'inizio. Erano sollevati quando la trascinarono giù dal battello fin dentro il ponte levatoio che ingoiava i detenuti. Azkaban.
    Ogni pensiero di Oswin prese a vorticare attorno ad una sola idea: avrebbe fatto morire loro prima che dovesse accadere a lei, nella sua lotta contro di loro non ci sarebbe stato quartiere. Rise nel sentirli dichiarare che non avrebbe avuto cibo, non ebbe reazioni quando le dissero che non avrebbe dovuto rivolgere la parola a nessuno.
    Si accucciò in un angolo della sua cella e divenne la tigre feroce cui riversare addosso sguardi disgustati. Osservava attenta il loro andirivieni lungo i corridoi del braccio A, carpiva tutte le informazioni che poteva e le tratteneva in sé.
    Riuscì a resistere così fino all'arrivo di quell'uomo, dal quale si scoprì osservare nella penombra. Per un tempo infinito, in silenzio, senza battere ciglio.
    Lei lo guardò da sotto i suoi capelli scarmigliati e sporchi, rannicchiata nell'angolo della cella.
    << Deve essere interrogata. >>
    << Signor Lestrange, lo abbiamo già fatto. >>
    Un fruscio fuori dal mantello, un raggio rosso porpora e una figura che si torceva a terra, in preda a urla e scatti.
    Oswin trattenne il respiro, dominando come poteva la folle gioia che si mescolava alla paura.
    << Interrogata da uno dei miei, nel braccio B. Procedete. >>
    Il respiro le era morto in gola.
    Voci sul braccio B erano state impossibili da ignorare, anche nel poco tempo da quando era stata rinchiusa lì. Era il terrore viscerale di ogni detenuto.
    Mani esperte nell'insinuarsi tra le sbarre l'avevano afferrata e immobilizzata sotto lo sguardo imperscrutabile di quegli occhi chiari. Lestrange. Doveva ricordarsi di averla vista a casa Zabini. Ne era sicura.
    Questo fu per Oswin la prova che non ci sarebbe stato nulla, per lei...nulla, se non la fine che i Zabini avevano deciso per la traditrice.
    Iniziò a mordere tutto ciò che trovava, iniziò a scalciare e a sputare, prima che un manrovescio le voltasse la faccia e la mandasse a terra come una bambola rotta. Le braccia le erano state incatenate da dietro la schiena, un attimo prima di strattonarla e farle attraversare - afferrata per i capelli, sospinta e trascinata - un lungo corridoio che le aveva aperto direttamente davanti il braccio B dell'immensa torre.
    E lì, dopo averla costretta a spogliarsi e a passare sotto una doccia bollente sotto i loro occhi inespressivi, l'avevano davvero lasciata a se stessa in una cella ancora più angusta, a piedi nudi, una stoffa ruvida sulla nuda pelle, promettendole che avrebbe avuto presto un bel tatuaggio e un nuovo nome.
    Ma fino al momento in cui quel fischio maledetto si impose alle sue orecchie, per lei c'era stato solo il silenzio rotto ogni tanto da urla lontane, voci incrinate e singhiozzi, voci che si cercavano fino a che incantesimi delle guardie non le spezzavano nel dolore.
    Fino a quel momento il silenzio era stato assenza di dolore, ma quando quel fischio si fu interrotto, la fece sobbalzare anche quel silenzio del tutto nuovo, pieno delle peggiori promesse.
    Si coprì il viso con braccia ormai simili a quelle che aveva visto uscire dalle sbarre, quando l'avevano portata lì, quando il fischio riprese. << Basta...>> mormorò, sentendo la propria voce gracchiante.


    Role code by Ellenroh Carrow



    Edited by Nobody Janson - 2/10/2013, 19:53
     
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